CHIUSI!

Alla fine ci hanno chiusi. Conte aveva dato alle palestre e alle piscine i 7 giorni, al termine dei quali, puntualmente, e' arrivato il DPCM dove per un mese dobbiamo restare chiusi, un mese...per ora. Non e' difficile prevedere che si tratta dell'anticamera del lockdown, se le cose non migliorano, non miglioreranno temo, il passo successivo sara' di richiuderci in casa. Personalmente (ne parlavo ieri col mio socio con cui ci siamo trovati a palestra chiusa per allenarci), non e' un grande danno, avevamo aperto bene a settembre, poi ad ottobre con la paura ed il terrorismo di giornali e tv la cosa aveva rallentato. Per lavorare male meglio fermarci, siamo una piccola realta' con spese molto basse, potremo tranquillamente aspettare la riapertura. Ci fossero voli decenti partirei per Cuba. Comunque e' una situazione differente rispetto a marzo, allora eravamo tutti chiusi, tutti immersi nella stessa bagna, ora sono stati fatti figli e figliastri. Palestre, piscine ma direi anche cinema e teatri avevano fatto il loro dovere, i protocolli erano molto rigidi, se c'erano luoghi dal contagio molto complicato erano proprio questi. Le chiese, le moschee ed i luoghi di culto restano pero' aperti e questa cosa, vi assicuro fa girare parecchio i coglioni. Sarei anche discretamente incazzato perche' faccio parte di quell'Italia che ha rispettato tutte le regole, e' stata a casa quando doveva, ha ripreso una vita normale senza eccessi quando e' stato consentito. Essendo pure moderatamente asmatico faccio attenzione il doppio perche' di questa merda si muore come il pesce rosso lasciato fuori dalla boccia con l'acqua. Ho giocato qualche partita a calciotto, qualche cena con gli amici, qualche uscita con signore con cui valeva la pena ma per il resto ho fatto attenzione come molti. Poi c'e' stata l'altra Italia, quella che dobbiamo ringraziare per essere ripiombati nell'incubo, quella dei politici che non hanno fatto altro che assembrare gente, quella di quei coglioni dei negazionisti, dei Montesano, Bocelli, Zangrillo, Bassetti, quella del “nun ce' coviddi”, delle Cunial, quella degli Sgarbi, Giletti, Porro e gente simile su cui pesa buona parte della responsabilita' di questo ritorno nel girone dantesco che si spera finisca presto.

Commenti

  1. TORINO. Alle 10 di sera all’ingresso di Gucci ci sono macchie di sangue, sassi e vetri sfondati. Dentro è rimasto quasi più niente. Si sono portati via borse, cappotti, coprispalla, gonne, monili. Hanno frantumato le vetrine, depredato quel che c’era. Le forze dell’ordine fermano un paio di persone che si allontanano con la refurtiva. Gli altri spariscono. E a folate si accaniscono su via Roma, la strada dello shopping di Torino. A sassate sfondano le vetrate dei negozi, si prendono vestiti, scarpe e profumi. Devastano tutti i déhors di via Lagrange, spaccano quel che trovano sotto i portici di via Po e via Accademia Albertina.

    La notte di Torino è lacrimogeni e sirene, bombe carta e razzi da stadio. E la polizia che reagisce. Eccola qui la rabbia di chi è rimasto senza lavoro, senza reddito, senza speranza. È una rabbia che arriva dalle periferie, ragazzi che urlano a squarciagola: «Ci stanno derubando». Non è la rabbia dei negozianti, quella che infiamma la notte torinese. Non è soltanto la rabbia dei baristi costretti a lavorare mezza giornata. È la furia cieca di una fetta di società che si sente esclusa. Che odia la politica. Che ha individuato, in questo momento, l’attimo giusto per dire basta e riversare anni di frustrazione repressa.

    In mezzo a tutto questo c’è chi è venuto soltanto per menar le mani. Ci sono le frange ultrà del tifo bianconero e granata, che già erano state uno dei motori della ribellione dei Forconi. Arrivano bardati, con le felpe nere tirate sulla testa, la mascherina che copre il viso. E c’è chi, invece, si presenta nella piazza davanti al palazzo della Regione già alle sette di sera, un’ora e mezza prima della manifestazione. Quelli a cui non passerebbe neanche per l’anticamera del cervello di mettersi a spaccare tutto. Giancarlo Banchieri, il leader di Confesercenti, lo dice chiaro: «Siamo qui a manifestare pacificamente. Ma se le cose non cambiano, la situazione potrebbe sfuggire di mano». Lo dice quando ancora la piazza è calma, in piazza Vittorio, davanti a centinaia di commercianti disperati ma pacifici. Quelli che davvero sono allo stremo. Quelli le cui legittime angosce vengono spazzate via. Lo dice anche il questore Giuseppe De Matteis: «C’è stata una manifestazione pacifica e legittima e una che ha avuto per protagonisti i professionisti della guerriglia».

    Nemmeno mezz’ora dopo cambia tutto. Arrivano gli altri, volti coperti e rabbia pura: «Dobbiamo spaccare tutto». Sono tanti, tanti come non se ne vedevano da tempo. È la banlieue che entra in città. Sono i blackblock che si saldano con la protesta. Erano anni che Torino non vedeva qualcosa di simile, una forza così feroce, il saccheggio dei negozi, l’accanimento contro i marchi del lusso. Neanche durante le più dure manifestazioni dei centri sociali. Questa sera va in scena la rabbia degli esclusi. Chi saccheggia sono ragazzi che arrivano dalle periferie. Stranieri, poco più che adolescenti. I black block, quelli vestiti di nero. Non c’è spiegazione, a questa rabbia, se non quella di chi finalmente conquista il centro. E assalta ciò che non può comprare. Gucci ne è l’emblema. I ragazzi escono con bracciate di borse. Litigano tra di loro, per spartirsele. In via Accademia delle scienze, proprio di fronte al Palazzo della prefettura, i dehors sono un ricordo. Dire devastati, è riduttivo. Questa sera, chi protesta, vuole pareggiare i conti tra chi ha tutto e chi ha niente.

    Due piazze, piazza Vittorio - il ritrovo pacifico dei commercianti - e piazza Castello, la furia. Ma già alle 8 si capisce che questa è un’adunata organizzata, preparata quasi militarmente. Frange cercano di spezzare il presidio delle forze dell’ordine. Ci riescono e si disperdono per il centro, portano attacchi e devastazioni ovunque. Si dividono, si ritrovano e colpiscono. Sfuggono e dopo poco si riuniscono e attaccano nuovamente. Così per ore, anche quando scatta il coprifuoco delle 23 voluto dal presidente della Regione Alberto Cirio. Difficile per militari e agenti contenere i gruppi. È una guerriglia urbana.

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  2. La polizia carica e quelli urlano: «Libertà». Altre cariche e quelli rispondono con fumogeni, bombe carta, sassi. Una decina i feriti, altrettanti i fermati. I petardi fanno tremare le vetrine di via Roma. Lampeggianti, caschi, scudi. Ci sono 500-600 persone a guidare la guerriglia. Il centro è una specie di campo dove si confrontano tutte le fragilità di una società in crisi. Fumogeni in via Roma, la strada del passeggio. Lanci di bottiglie contro i lampioni. Aria irrespirabile. Piazza San Carlo è un fortino blindato dalla polizia: non entra nessuno. Fuori si sfasciano le sedie, gli ombrelloni, si lancia di tutto contro insegne e serrande. «Dobbiamo dare il giro a questo Paese».

    Bruciano i cassonetti. Bruciano i monopattini, simbolo della svolta ecologica. Brucia tutto ciò che può anche solo vagamente essere assimilato al benessere, alla vita agiata, a ciò che non è miseria e sconforto. La rivolta di Torino, stasera, fa male a guardarla. E fa paura. —

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